Mi capita a volte di leggere notizie strappalacrime che ti avvelenano (giusto il tempo della lettura, però). In questo deserto emotivo, in cui siamo travolti dalla quotidianità, si ha una partecipazione molto relativa alle disgrazie degli altri. Ci si indigna, se ne discute davanti a un caffè, si scrive un tweet pieno di punti esclamativi eppoi tutto viene travolto dal consueto tran tran: la fame, la sete, la violenza, la guerra, la povertà, la malattia. Povero a chi capita e tutto finisce li.
C’è una storia che mi ha colpito, forse meno cruenta delle altre, ma altrettanto terribile. E bella.
Una signora era addolorata dal fatto che sua madre fosse devastata dall’alzheimer e per questo motivo non solo non era più autosufficiente, ma non si ricordava nemmeno chi fosse. Questo è terribile perchè ciò che ci definisce sono proprio le esperienze. Quindi fu costretta a lasciarla in una casa di cura specializzata che la sorvegliasse. Qualche stanza prima della madre c’era un anziano curava amorevolmente una vecchia signora, sua moglie, e lei non potè trattenersi dal chiedergli:
– Ma come fa ad essere ancora così attaccato a lei se nemmeno la riconosce?
In sostanza le parve stravagante, non sano, non aver sostituito una cosa rotta con una nuova e in buono stato.
– Lei sicuramente non sa chi io sia. Ma io mi ricordo perfettamente di lei.
Rispose il signore e continuò ad accudirla.
Amare qualcuno che è solo l’ombra di ciò che fu, nutrire questo amore con i ricordi che si sono condivisi dunque.
Mi viene in mente la parte finale di american beauty quando lui sta per morire e in un flashback rutilante si affastellano ricordi di risate, di gioia, di luoghi, di nascite, di amore.
Al di la del ruolo che interpreti ogni giorno, mai, mai dimenticarsi che siamo persone.
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